Sergio Maffucci - La palla

Sergio Maffucci - La palla

Recitazione di Francesco Cusani. br br LA PALLA br br Oggi è un mese che Adriana mi ha lasciato, portandosi via lo stretto necessario che è riuscita a infilare in due valigie. br È andata dalla madre, per ora. br Mi disse che, quando se la sarebbe sentita, avrebbe preso tutte le altre sue cose. br Io non feci il minimo accenno di resistenza e d’opposizione a questo suo gesto che, da qualche tempo, ormai stava maturando. br Il nostro rapporto, infatti, negli ultimi mesi, registrava quotidiani battibecchi e accese discussioni, che nascevano, sempre, da futili motivi. br Mi ha sopportato anche troppo a lungo. Per troppo tempo ha subito le mie stupide angherie, le mie provocazioni, il mio scaricare su di lei le mie angosce e le mie ansie. br Mi rendevo conto che sarebbe arrivato il giorno in cui, esasperata dal mio comportamento, mi avrebbe affrontato, com’è suo costume, per chiarire definitivamente il nostro rapporto. br Quel giorno giunse. br Era una delle ormai consuete, noiose e insulse domeniche, che trascorrevamo in casa, come due estranei. br Con fare deciso, Adriana, richiamò la mia attenzione e mi disse: ”Claudio, io ti ho tanto amato e ti amo ancora, ma non posso più assistere al disfacimento del nostro rapporto, senza vedere una possibilità di recupero. Non posso più combattere con una persona che fa di tutto per affossarlo sempre di più”. br Seguì un’intensa pausa indotta dalla commozione di Adriana. Dopo pochi secondi, tratto un profondo respiro, proseguì: “Claudio, non vedo la benché minima intenzione, da parte tua, di recuperare l’equilibrio e la serenità che ti ha sempre contraddistinto. Non mi fai partecipe dei tuoi sentimenti, non comunichi più, non mi consenti di aiutarti ed io, a questo punto, sono tanto avvilita che non vedo altra soluzione che quella di andarmene, per poi separarci.”. br Cominciò a singhiozzare intensamente ed io continuavo a fissarla come se fosse un’estranea e parlasse di cose che non mi riguardassero. br “Vedo… che non te ne importa niente! Sai che ti dico, meglio così. Avrò meno rimpianti!” br Raccolse le sue valigie e se ne andò, sbattendo platealmente la porta e da quel giorno non l’ho più vista o sentita. br In questo periodo di solitudine totale, non ho fatto altro che sprofondare sempre di più nelle mie inquietudini e agitazioni, caricandomi fino al punto di esplodere, fino a contemplare la soluzione finale, per porre fine alla mia disperazione. br Avevo perso, anzitempo, il lavoro, perché la ditta in cui ero occupato, con una discreta soddisfazione, aveva scoperto che ero divenuto un esubero, un ramo secco e costoso, che andava tagliato per riequilibrare i conti della società. br Mio figlio si era allontanato da casa per un lavoro, che avrebbe svolto in un altro continente, a diecimila km di distanza. br Rimproveravo mia moglie di non comprendere e consolare le mie frustrazioni, senza capire che lei le comprendeva benissimo, ma faceva di tutto per stimolarmi a reagire e a superarle, invece di adagiarmi su di esse, per essere compatito. br Così, giorno dopo giorno, ho mandato a rotoli anche l’unica cosa bella che mi era rimasta: il rapporto con Adriana. br Ormai ero perso dietro alla mia autocommiserazione, continuavo a involgermi sempre di più nelle sabbie mobili della depressione, che mi stava lentamente risucchiando. br In questo stato confusionale e senza più punti di riferimento, iniziai a maturare l’idea che l’unica soluzione fosse il suicidio. br Solo così avrei posto fine alle mie sofferenze e a quelle di Adriana. br Avrei tolto il disturbo a questo mondo, che non si era nemmeno accorto della mia presenza e a quelli che ancora mi stavano vicini, a patire delle mie ubbie. br Fu così che, pienamente compreso della validità di questa soluzione, mi recai nello studio, presi la mia Beretta 7,65 e, così come stavo, sciatto, trasandato e con la barba lunga, uscii, per non più tornare. br Appena giunsi per strada, mi diressi verso il parco, situato poco lontano da casa. Esso è abbastanza grande e ogni tanto ha degli spazi fitti di vegetazione, come delle piccole macchie, che, nella mia mente, in preda ad una lucida follia, rappresentavano il luogo ideale per il gesto estremo. br Dopo pochi minuti di cammino, con un’andatura innaturale, quasi fossi in trance, giunsi a calpestare l’erba del prato. br Mi guardai intorno, per scegliere il luogo adatto. br Individuatolo, con lo stesso incedere m’incamminai verso di esso, con la mano sinistra che già accarezzava la pistola, nella tasca della stazzonata giacca. br Fu a quel punto che udii la voce insistente e stridula di un bambino, che più volte ripeté: “Signore, signore…la palla, per favore.”. br Non avrei voluto voltarmi, ma fu tale l’insistenza di quel moccioso, che mi girai proprio mentre quella sua stupida palla finì di rotolare sui miei piedi. br Pochi secondi dopo arrivò anche il bambino, avendo capito che non gliel'avrei mai rilanciata. br “Signore! Non mi hai sentito? Perché non mi hai lanciato la palla?” br In quelle domande br br Continua... leggi il testo integrale su www.suonamiunapoesia.


User: SuonamiUnaPoesia

Views: 180

Uploaded: 2013-10-20

Duration: 07:50

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